Consulenza finanziaria – Conflitti di interesse

Tutti i risparmiatori che hanno un’idea di cosa si intende per consulenza finanziaria pensano di avere al loro fianco un “Consulente Finanziario”.

Ma cosa si intende per Consulenza?

Per la Treccani: L’attività del consulente, come prestazione singola o saltuaria di consigli e pareri da parte di un esperto su materie di propria competenza, o come prestazione continuativa e professionale: prestare, offrire la propria c.; c. tecnica, aziendale; c. matrimoniale, prematrimoniale, genetica; ufficio di c. legale, di c. fiscale.

Dalla pagina online del Corriere della sera: Parere di un professionista su una questione di specifica competenza

Da Wikipedia: La consulenza (anche chiamata con il termine inglese consulting) è la professione di un consulente, ovvero una persona che, avendo accertata qualifica in una materia, consiglia e assiste il proprio committente nello svolgimento di cure, atti, pratiche o progetti fornendo o implementando informazioni, pareri o soluzioni attraverso il proprio know how e le proprie capacità di problem solving.

In nessuno dei tre casi, si associa al termine consulenza l’attività di vendita.

Passiamo ora alla definizione di Consulenza Finanziaria.

La Consob, la definisce così: La consulenza in materia di investimenti è un servizio di investimento in cui il consulente, su sua iniziativa o dietro richiesta del cliente, fornisce consigli o raccomandazioni personalizzate circa una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario.

Chi può prestare consulenza in Italia? Sempre Consob ci viene in aiuto: Possono prestare la consulenza in materia di investimenti gli intermediari, anche tramite promotori finanziari,(da quest’anno Consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, cfaofs); le persone fisiche (Consulenti Autonomi); e le società in possesso di particolari requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e solidità patrimoniale iscritti in un apposito albo di consulenti finanziari.

Pertanto in Italia la consulenza può essere prestata:

Da Banche e Sim direttamente o tramite Cfaofs;
Società iscritte in apposito Albo;
Persone fisiche iscritte in apposito Albo.

Banche e Sim possono contemporaneamente essere abilitate alla vendita di prodotti finanziari, pertanto l’attività di consulenza può essere svolta a se stante o abbinata alla vendita di prodotti.
Credo che quest’ultima attività sia quella che molti riconoscono nel loro abituale interlocutore, attività di consulenza volta a scegliere questo o quel prodotto tra quelli a disposizione dell’intermediario.

Banche e Sim possono pertanto offrire servizi di consulenza finanziaria insieme a servizi di negoziazione e collocamento titoli, possono vendere il fondo “tal dei tali” e consigliarlo come investimento ottimale per determinati clienti. In genere dalla vendita del fondo ricavano commissioni, che possono essere sia contestuali alla vendita sia periodiche per il periodo che lo strumento sarà mantenuto dal cliente.

Società e Consulenti autonomi, possono invece esercitare l’attività di consulenza solamente se non effettuano attività di collocamento di prodotti e solamente se vengono retribuiti in via esclusiva dal cliente.

Dalle modalità sopra descritte si evidenziano alcune significative differenze tra le due modalità di consulenza possibile.

Banche e Sim, spesso ricavano remunerazioni dalle attività di vendita e spesso non fanno pagare l’attività di consulenza in maniera esplicita.
Società e Consulenti Autonomi devono sempre far pagare la loro attività visto che hanno scelto di vivere di sola consulenza.

Banche e Sim potrebbe prestare consulenza anche su attività depositate presso altri intermediari, ma a tutt’oggi questa modalità è poco sfruttata anche perché rischierebbe di penalizzare la loro stessa attività; per esempio, come potrebbero dire che esistono intermediari che fanno pagare per attività di negoziazione pochi euro per eseguito e continuare a chiedere anche centinaia di euro per operazioni presso di loro?
Altro esempio, come potrebbero consigliare prodotti di gestione più efficienti e meno costosi e mantenere nel portafoglio del cliente prodotti da loro collocati meno virtuosi?

Presupposto basilare di ogni attività di consulenza è l’assenza di conflitto di interessi per chi la esegue.

Solo chi ha preparazione ed indipendenza di giudizio può dare consigli privi di conflitto di interessi.

Solo chi è indipendente da qualsiasi intermediario può valutare con imparzialità le offerte presenti sul mercato.

Tutti noi abbiamo sentito il refrain dei gestori e dei venditori di fondi comuni ripetere: non bisogna uscire da fondi e gestioni patrimoniali in perdita, è necessario dare a questi prodotti il tempo necessario per sfruttare i cicli di borsa e “nel lungo periodo” si avranno i risultati.

Dimenticano di dire che il lungo periodo consentirà loro di percepire per molti anni commissioni certe, senza aggiungere che per rimanere investiti in un mercato, per esempio nell’azionario italia, ci sono molteplici strumenti e che i costi di questi sono molto diversi tra loro.

Prendendo per buono il consiglio di rimanere investiti per lunghi periodi nei mercati azionari, è preferibile farlo con prodotti che abbiano costi interessanti per il cliente e non con altri che hanno provvigioni elevate per banche e loro addetti commerciali.

Quanto costano i fondi che avete scelto nel 2016?

Nei giorni scorsi mi è capitata sotto gli occhi la classifica dei fondi che nel 2016 hanno realizzato la raccolta più elevata.
Sono per larga parte prodotti venduti presso sportelli bancari, ma di certo anche gli ex “promotori” avranno cavalcato la moda.
Scorrendo velocemente l’elenco si nota subito come per larga parte i prodotti appartengano alle classi obbligazionarie o bilanciate, ma in quest’ultimo caso non bilanciati tradizionali, bensì prodotti con ampia delega al gestore e riconducibili più precisamente ai fondi flessibili o total return.
A prima vista sembrerebbe difficile comprendere il motivo di tanto successo per investimenti in larga parte obbligazionari, in un periodo storico dove i tassi sono ai livelli minimi da decenni, in alcuni casi addirittura ai minimi storici di ogni tempo.
Oltre al rendimento modesto l’utilizzo di questi prodotti provoca altri due effetti negativi, i costi di gestione, ove presenti, riducono ulteriormente i già risicati margini e nel caso di rialzo dei tassi, ipotesi sempre più probabile, si verificheranno ulteriori perdite in conto capitale.
I risparmiatori che li hanno scelti non hanno fatto queste considerazioni ma mi chiedo come possano non averle fatte i bancari o i promotori che li hanno proposti.
Ipotizzo che una piccola parte dei “consulenti bancari” non condividano le mie precedenti previsioni e li hanno collocati pensando viceversa che fossero un ottimo “affare”.
Può essere anche questo… ma continuando a controllare i prodotti presenti nella lista mi sembra strano notare come tutti, ripeto, tutti, abbiano costi di ingresso “camuffati” con una metodica di recente divenuta prassi.
Chiedere al cliente di pagare una commissione di sottoscrizione del 2-3% e spiegare che di conseguenza il capitale investito sarà di 9.800/9.700€ non è semplice.
Il marketing ci viene in aiuto, come avviene?
Semplice: basta chiamare le spese di ingresso in altro modo (spese di collocamento), non far vedere al cliente che il capitale investito è subito decurtato da questo costo e spalmare l’addebito in un tempo predefinito, per esempio 4-5 anni.
Quindi ipotizzando che il Sig. Rossi versi 10.000€ vedrà contabili dove il netto investito sarà di uguale importo, i costi verranno spalmati, in aggiunta alle normali spese di gestione in un tempo predefinito, per esempio 4 anni, quindi ridurranno progressivamente il rendimento e la colpa sarà sempre attribuita ai mercati.
Mancano ancora due piccoli dettagli per capire il successo di questa prassi, il primo, il cliente che nel tempo si dovesse accorgere del meccanismo avrebbe due opzioni entrambe penalizzanti tra le quali districarsi; chiedere il riscatto immediato, ma in questo caso si vedrebbe addebitare la quota di collocamento non ancora addebitata (es. 150€ dopo 1 anno, 100€ dopo il 2 anno, ecc) o lasciare la somma investita; ultimo dettaglio, forse il più importante, la banca che colloca il prodotto registra subito il ricavo del 2-3% delle spese di collocamento.
Come vedete…chi critica il “marketing” non ne conosce appieno le molteplici e miracolose virtù!

Fineco, il mio punto di vista

Sole 24 ore del 01.11: Lettera al risparmiatore, questa settimana Vittorio Carlini analizza Fineco.
Fineco è probabilmente la più conosciuta Banca on line. Oramai ogni grande gruppo ne possiede una, da Pop Milano a Monte Paschi, da Bnl a Banco Popolare.
Il suo business si divide in 3 grandi aree: Banking, cioè raccolta e impiego di liquidità e ricavi dei servizi collegati, bancomat, carte di credito, telepass e via di seguito.
Investing, cioè l’attività di distribuzione di prodotti di risparmio gestito, fondi, sicav e polizze.
Infine il trading, attività di negoziazione per conto dei clienti, il vero e proprio trading on line.
L’articolo è rivolto principalmente ad azionisti presenti e potenziali, a coloro che non sanno se mantenere il titolo dopo il forte rialzo dal collocamento e a chi non sa se il trend potrà proseguire.
In questo post invece mi voglio concentrare su quella parte di notizia che dovrebbe far drizzare le orecchie ai clienti di Fineco e a chi dai promotori di Fineco riceve consigli sui fondi da utilizzare.
Proprio nell’investing infatti la banca punta ad incrementare i margini passando da prodotti scelti autonomamente dai clienti a prodotti “consigliati” e con margini maggiori.
La società dichiara infatti che i margini del settore quando la scelta è del cliente sono di 45 punti (per semplificare potremmo dire lo 0,45% delle masse) mentre l’obiettivo della società è aumentare le soluzioni guidate o consigliate per arrivare ad un margine di 70-75 punti.
I margini del settore sono da dividersi in tre parti, una alla sgr che gestisce il prodotto, una alla banca che lo distribuisce e una parte ai promotori che svolgono l’attività finale,
Avere l’obiettivo di aumentare i margini può essere fatto solo coinvolgendo i promotori, pertanto l’aumento di 0,30% di margini si tradurrà in un aumento dei costi per il cliente finale di ca il doppio. Ne vale la pena?
Comprendo le ragioni di Fineco, chi non vorrebbe aumentare i margini? Ma non comprendo le ragioni dei clienti….perchè dovrei farmi consigliare per far aumentare i margini di Fineco?

Bassi tassi di interesse – Gestioni Separate

La crisi che coinvolge l’Europa da quasi 7 anni, ma che ha interessato con modalità e tempi diversi quasi tutte le aree del pianeta, ha creato una situazione di bassi tassi di interesse mai vista in passato.
Per decenni abbiamo assistito incuriositi ai bassi tassi di interesse del Giappone che ha, direi inutilmente, utilizzato questa leva per ridare slancio all’economia; ora che la situazione è analoga anche in Europa un popolo di risparmiatori come gli Italiani si sentono spaesati, confusi, insoddisfatti.

Gli operatori professionali più scrupolosi che si trovano ad interagire con risparmiatori in cerca di tassi accettabili (secondo loro almeno il 2-3%) devono tutti i giorni spiegare i motivi della situazione e l’impossibilità di ottenere rendimenti attraenti se non a rischio di probabili forti perdite future.
Cosa può fare un risparmiatore che fino ad un paio di anni fa otteneva il 3-4% di interesse con titoli di stato o obbligazioni bancarie di durata non superiore ai 2-3 anni?
Prima cosa da dire, non esistono alternative, non serve a nulla cambiare strumento finanziario, se utilizziamo fondi o etf, (preferisco comunque questi ultimi) il risultato che otterremo sarà vicino allo zero se lo strumento investe in titoli a breve termine, potrà essere leggermente migliore, ma con molti rischi aggiuntivi (perdite che in alcuni periodi potrebbero arrivare anche al 10% in pochi mesi) se utilizzeremo fondi o etf che investono in titoli di lunga durata.

In questo scenario non ci restano che due alternative:

Investire in strumenti a basso rischio e basso rendimento; depositi vincolati bancari, postali e certificati bancari possono offrire rendimenti netti nell’ordine dell’1% l’anno, almeno al momento.

Investire in polizze vita ramo 1 che utilizzano gestioni separate (per brevità GS).

Qui servono alcune informazioni aggiuntive, il prodotto polizza vita con sottostante GS è un prodotto molto comune distribuito da Banche, Poste, Promotori e Assicuratori.
Pur essendo molto comune le condizioni contrattuali possono essere molto differenti tra prodotto e prodotto, tralasciando la possibilità di investire piccole cifre mensili per lunghe durate, mi concentro su versamenti in unica soluzione di almeno 5000 €.
Ci sono prodotti che prevedono costi iniziali che possono arrivare al 3% e oltre ma anche prodotti senza spese di ingresso; ci sono GS con spese di disinvestimento per alcuni anni (cosiddetti tunnel di uscita) ma anche prodotti con possibilità di uscire dopo un mese.
I costi di gestione annui possono andare dallo 0,6% per importi molto elevati all’1,5-1,6% per importi di poche migliaia di €, è evidente che meno costano più rendono.

Detto delle svariate condizioni economiche ci concentriamo ora sugli aspetti che invece le rendono potenzialmente interessanti al momento:

in primo luogo sono prodotti che garantiscono un risultato annuale quindi anche in presenza di un rendimento modesto o nullo non si andrà incontro a perdite in conto capitale.

Utilizzano poi un sistema di calcolo che privilegia la costanza di rendimento al risultato di breve termine ciò avviene perché per legge contabilizzano solo gli interessi incassati e le plus – minus realizzate a differenza dei fondi che invece contabilizzano giorno per giorno anche le plus-minus potenziali.
Questa particolare metodologia le avvantaggia in periodi di tassi bassi ma ha penalizzato i rendimenti nella fase di calo.

Ultimo non irrilevante vantaggio è l’assenza, almeno al momento, dell’imposta di bollo dello 0,20% annua che invece grava su investimenti in titoli, obbligazioni, fondi ed etf.

Fondi quotati in Borsa

Dalla scorsa settimana Borsa Italiana consente di negoziare Fondi Comuni aperti.
Al di là degli esigui scambi dei primi giorni, per ora una sola Sicav ha completato l’iter di quotazione, l’iniziativa è una di quelle potenzialmente esplosive per l’evoluzione del sistema bancario e finanziario del nostro paese.
I vantaggi per i risparmiatori sono sia immediati che di lungo periodo.
Tra quelli immediati due sono quelli più rilevanti:
I Fondi quotati saranno identici a quelli distribuiti con altre modalità, in banca o attraverso promotori, ma avranno costi di gestione più bassi in quanto non riconosceranno commissioni ai collocatori.
Altro vantaggio sarà la possibilità di trasferire il proprio investimento in qualsiasi banca evitando come avviene ora di dover disinvestire fondi della Banca A per riacquistarli nella Banca di destinazione ogni qualvolta si decida di cambiare istituto di credito.
Oltre a questi primi rilevanti vantaggi nel tempo la diffusione di questa modalità di acquisto porterà all’aumento dell’offerta di consulenza indipendente.
I risparmiatori infatti avranno sempre necessità di professionisti in grado di valutare gli strumenti presenti nei mercati ma questa esigenza si scontrerà con la necessità degli intermediari di vedere riconosciuto un valore al proprio operato quindi anche banche e reti di promotori per evitare di perdere quote di mercato concentreranno l’attenzione più sull’attività di consulenza a pagamento piuttosto che sull’attività di vendita con retrocessione di commissioni.
L’aumento dell’offerta di consulenza indipendente (indipendente cioè da conflitti di interesse del proponente) porterà di certo alla riduzione dei compensi e all’ampliamento dei soggetti proponenti.

Commissariamento Banca Marche

Così recita il Testo Unico Bancario in tema di commissariamento:

 

TITOLO IV
Disciplina delle crisi
Capo I
Banche
Sezione I
Amministrazione straordinaria

Art. 70 – (Provvedimento)
1. Il Ministro del tesoro, su proposta della Banca d’Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche quando:
a) risultino gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività della banca;
b) siano previste gravi perdite del patrimonio;
c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall’assemblea straordinaria.
2. Le funzioni delle assemblee e degli altri organi diversi da quelli indicati nel comma 1 sono sospese per effetto del provvedimento di amministrazione straordinaria, salvo quanto previsto dall’articolo 72, comma 6.
3. Il decreto del Ministro del tesoro e la proposta della Banca d’Italia sono comunicati dai commissari straordinari agli interessati, che ne facciano richiesta, non prima dell’insediamento ai sensi dell’articolo 73(*) .
4. Il decreto del Ministro del tesoro è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
5. L’amministrazione straordinaria dura un anno dalla data di emanazione del decreto previsto dal comma 1, salvo che il decreto preveda un termine più breve o che la Banca d’Italia ne autorizzi la chiusura anticipata. In casi eccezionali la procedura può essere prorogata, per un periodo non superiore a sei mesi, con il medesimo procedimento indicato nel comma 1; si applicano in quanto compatibili i commi 3 e 4.
6. La Banca d’Italia può disporre proroghe non superiori a due mesi del termine della procedura, anche se prorogato ai sensi del comma 5, per gli adempimenti connessi alla chiusura della procedura quando le relative modalità di esecuzione siano state già approvate dalla medesima Banca d’Italia.
7. Alle banche non si applicano il titolo IV della legge fallimentare e l’articolo 2409 del codice civile. Se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci di banche, i soci che rappresentano il ventesimo del capitale sociale, ovvero il cinquantesimo in caso di banche con azioni quotate in borsa, possono denunciare i fatti alla Banca d’Italia, che decide con provvedimento motivato.

 

Da quanto prevede il TUB le motivazioni del commissariamento di Banca Marche dipendono dalle gravi perdite degli ultimi 2 esercizi.

E’ opportuno fare delle precisazioni:

La breve durata del Commissariamento (ad oggi sono previsti 2 mesi) lascia pensare ad una scelta di prudenza di BI e Ministero del Tesoro piuttosto che una vera decapitazione dei vertici di Banca Marche.

La BI seguiva da tempo la Banca, anche dall’interno con un’azione ispettiva che deve aver guidato le prudenziali svalutazioni del crediti, ciò nonostante la volontà di sospendere temporaneamente Il consiglio di Amministrazione e il Collegio Sindacale sembra finalizzato ad avere chiarezza e campo libero nel controllo delle attività poste in essere dopo la sostituzione del precedente Direttore Generale.

Non hanno certo giovato all’istituto le dichiarazioni di Consiglieri uscenti che hanno rimproverato al resto del Consiglio e di conseguenza alle Fondazioni, un’attività di resistenza e di rinvio rispetto alle iniziative di rilancio già individuate.

Per ultimo, un compito espressamente affidato ai Commissari, sembrerebbe quello di far chiarezza sull’importo e i tempi del prossimo aumento di capitale, aumento di capitale che chiaramente è il “negoziato” principale da portare avanti e nel quale negoziato il CA attuale sembra aver perso ogni attività di indirizzo e di proposta.

 

Quanto sopra da l’idea di Banca che versa in acque agitate, ma soprattutto priva di controllo.

Tutta la gestione ordinaria e parte delle operazioni di ristrutturazione e rilancio sono delegate al nuovo Dg, ma nessuna delega gli è stata affidata riguardo alla ricapitalizzazione.

Questa è la situazione della Banca da quanto si apprende dagli organi di informazione; veniamo ora alle scelte dei clienti, alcuni sono palesemente disorientati e timorosi rispetto alla conservazione dei loro risparmi altri sembrano narcotizzati e indifferenti a qualsiasi notizia.

Mi sento di rassicurare tutti i clienti riguardo alle loro disponibilità in BM.

Nessun problema riguarda i titoli di terzi depositati presso la Banca, siano essi Titoli di Stato, Fondi, Polizze, Azioni e obbligazioni di altre banche .

Diverso ma altrettanto rassicurante il caso dei correntisti e di coloro che hanno finanziato la banca con Certificati di deposito, libretti di risparmio o obbligazioni, non vedo rischi di nessun tipo, se non quello di veder cambiare le insegne della loro filiale di riferimento prima o poi…

Non mi sento di rassicurare gli azionisti, ma presuppongo che abbiano acquistato le azioni sapendo che si trattasse del titolo che rappresenta il capitale sociale quindi le sue sorti sono legate nel bene e nel male alla salute e alle prospettive future dell’azienda che rappresenta. In questo momento la perdita in conto capitale è pesante per tutti, quindi non credo valga la pena prendere decisioni al riguardo…. avete perso molto, tanto vale aspettare e sperare in nuovi e “fortunati” sviluppi.

Un’ultimo accenno lo rivolgo alle imprese; nelle Marche esistono ancora piccole e medie imprese che sono finanziate in tutto o in larga parte da BM, il consiglio che mi sento di dar loro è di guardarsi intorno, cominciare a diversificare anche le fonti di finanziamento per non dover fare queste attività dopo un rifiuto di BM ad accendere nuovi finanziamenti o a rinnovare quelli in essere; avere un solo Finanziatore può essere pericoloso come avere un solo cliente!

Consulenza e trading

Una delle prime domande che mi fanno i potenziali clienti è quale rapporto c’è tra la consulenza e il trading:

Faremo trading spesso o di tanto in tanto?

Se ci capita l’occasione, faremo operazioni di breve e brevissima durata?

Una parte piccola del mio portafoglio la vorrei destinare al trading, può darmi indicazioni?

Nel modo di pensare comune un Consulente finanziario è colui che sa dove andrà il mercato pertanto perché non sfruttare le situazioni?

Il mio approccio alla consulenza è invece sostanzialmente diverso.

Secondo alcuni colleghi potremmo definirlo da Pianificatore Finanziario.

Tralasciamo la distinzione tra Pianificatore Finanziario e CI (non amo molto la definizione Pianificatore finanziario)  la tratterò in futuro, vediamo come comportarci nei confronti del trading.

Iniziamo col dire che possiamo effettuare trading con moltissimi strumenti, dai più comuni quali azioni e obbligazioni ai più complessi e rischiosi, i derivati.

Tralascio volutamente di parlare di questi ultimi, si capirà presto perché.

Per fare trading è necessario per prima cosa quantificare quanta parte del portafoglio vogliamo dedicare ad operazioni  “speculative” e quanta parte destinare ad investimenti di medio lungo periodo.

Per decidere su quali strumenti effettuare trading è utile conoscere dei metodi di analisi, chiamati comunemente tecniche, che possono essere usate da sole o in combinazione tra loro, vediamole brevemente:

– “l’analisi tecnica”  è  lo studio dell’andamento dei prezzi dei mercati finanziari nel tempo, allo scopo di prevederne l’andamento futuro;

-“l’analisi fondamentale” è lo studio dei dati economici dell’azienda, del suo settore di appartenenza e delle fasi congiunturali per valutare quali titoli sono a sconto e quali sono cari.

-“l’analisi quantitativa o algoritmica” è la ricerca di modelli matematici complessi che possano in maniera automatica e il più possibile neutra fornire segnali di sottovalutazione o sopravvalutazione di un’attività economica. In genere è basata sia su dati economici quali fatturati, margini, crescita, sia su alcuni dati riguardanti gli scambi nei mercati, si tende in questa tecnica ad eliminare qualsiasi valutazione soggettiva .

Qualsiasi attività di trading presuppone basilari precauzioni:

stabilire il limite alle perdite delle singole operazioni e in totale;

operare con una certa regolarità pur mantenendo sangue freddo nei momenti di forte turbolenza;

utilizzare un intermediario affidabile con bassi costi di negoziazione;

conoscere in maniera ottimale gli strumenti oggetto del trading, (motivo per cui sconsiglio i non esperti all’utilizzo di derivati).

Nella mia attività di consulenza vengono a volte inseriti singoli titoli azionari selezionati sulla base dei dati fondamentali, lo scopo è quello di individuare alcune evidenti situazioni di sottovalutazione o agganciare trend di mercato considerati ancora interessanti, con strumenti fiscalmente più efficienti dei fondi o degli etf.

Non fornisco invece attività di consulenza a chi chiede esclusivamente di focalizzarsi sul trading, questa scelta, come le altre che prendo nella mia attività, è dettata dalla convinzione che è tecnicamente impossibile fornire adeguate informazioni con precisione e tempestività, requisiti essenziali per il successo dell’attività di trading.

Chiarito il mio modo di operare riguardo al trading vi parlo ora di una strategia di investimento che sto seguendo da più di 2 anni.

Ho deciso di monitorare un portafoglio di sole azioni italiane presenti nel Ftse Mib (in seguito denominato Studio Ftse Mib),  i titoli vengono scelti  partendo dall’analisi tecnica, viene implementata con indicatori di analisi fondamentale e fornisce una selezione che settimanalmente viene comunicata ai clienti.

L’obiettivo del portafoglio è sovraperformare nel tempo l’indice Ftse mib, soprattutto riducendo la volatilità e le forti perdite, per fare questo si utilizza una composizione flessibile del portafoglio che può essere investito dallo zero % in alcuni periodi al 100% in altri.

Ci sono delle limitazioni all’uso di questo portafoglio:

Può essere fornito solamente a clienti che utilizzano la consulenza dello studio per più dell’80% delle proprie risorse;

Per utilizzare il portafoglio è necessario avere a disposizione almeno 30.000 €;

Questo particolare portafoglio non può pesare + del 20% sul totale delle somme detenute dal cliente;

Le operazioni consigliate devono essere realizzate dai clienti entro la giornata della mail, nel caso di impossibilità ad operare in tempi rapidi si sconsiglia di utilizzare questa particolare attività.

Studio Ftse Mib prevede l’investimento in 10 titoli al massimo, mai più di due bancari, in questi giorni è investito per il 90%.

Dall’inizio, 18.10.2010, ha realizzato una performance totale del 39,28%, rispetto al -23,61% dell’indice Ftse Mib e rispetto al -5,08% dell’indice Fideuram Azionari Italia, riuscendo a sovraperformare nelle fasi di ribasso e mantenere buoni risultati nelle fasi di rialzo; il max Down draw nel periodo è pari al 9,30%, per l’indice il valore si attesta al 34,97%.

I risultati ottenuti sono al lordo delle tasse e delle commissioni di negoziazione che ogni investitore dovrà calcolare in proprio in base all’intermediario utilizzato.

Settimanalmente fornirò, nella pagina Trading System, la quota di titoli investita, per esempio 90% come in questa settimana, e il rendimento del portafoglio dall’inizio dell’anno. Una volta al mese circa sarà presente anche il grafico del portafoglio dalla partenza.

COMPARAZIONE MODELLO-S. E. FTSE MIB PERIODO

COMPARAZIONE MODELLO-S. E. FTSE MIB ANNUO

 

Dieci anni di consulenza

Il mese di Luglio del 2003 fu uno dei mesi più caldi che ricordi. 

In quel periodo prendevo la decisione di lasciare la banca e intraprendere la professione, allora pionieristica, di Consulente finanziario indipendente. 

Scelsi  cioè di fornire consigli ai clienti e per questo fatturare loro la parcella. 

Anche i miei amici più cari e i clienti della banca che avevano in me più fiducia provarono a farmi desistere,ma oramai la decisione, covata per mesi, era già stata presa. 

Dopo la pausa agostana dal 3.09.2003 divenni operativo. 

Tra i primi investimenti che iniziai a consigliare c’erano i primi Etf quotati su Borsa Italiana. 

Alcune banche iniziarono da subito a negoziarli, altre si adeguarono nei mesi successivi, alcune, anche importanti, per anni non consentirono acquisti di questi prodotti presso le loro filiali. 

Oggi sono passati quasi 10 anni dall’inizio della mia attività e i primi Etf quotati su Piazza Affari vantano una storia decennale che consente  confronti con i fondi e sicav  a gestione attiva  assolutamente probanti riguardo alla loro efficacia (o per meglio dire all’inefficienza degli altri). 

Quattro Etf hanno già i dieci anni di storia alle spalle, un quinto è stato preso in esame con “soli” nove anni di storia in quanto è molto presente nei miei portafogli. 

Nel complesso, come si può vedere dalla tabella sottostante (cliccare nell’immagine per ingrandire), tutti i prodotti analizzati hanno fatto meglio della media dei prodotti a gestione attiva della medesima categoria, uno addirittura è il migliore della categoria, due sono nel primo 20%. 

TABELLA ETF JPG

Il peggior etf confrontato con i fondi a gestione attiva ha comunque un risultato superiore alla media degli altri fondi analizzati.

Non è detto però che vadano usati da soli anzi, anche con gli etf la diversificazione è basilare, per questo motivo ho inserito nei confronti un ideale portafoglio con la presenza  equipesata di tutti e 5 i prodotti, ne è scaturito un portafoglio con l’80% di quota azionaria e il 20% di quota obbligazionario corporate, questo portafoglio l’ho confrontato con i fondi azionari internazionali, una delle categorie di fondi più comune. 

Sebbene nel portafogli analizzato manchi la presenza di etf su azioni dei paesi emergenti, l’asset che ha meglio performato negli ultimi 10 anni, il Mix ha ottenuto risultati entro il primo 25% dei fondi selezionati con una volatilità, sia pur lievemente, inferiore alla media di categoria. 

L’importanza di quest’analisi è fondamentale per le scelte di investimento, non si vuole dimostrare che lo strumento etf sia il migliore in assoluto, si vogliono invece evidenziare le difficoltà che incontra un investitore nello scegliere in anticipo quale sarà l’investimento ottimale nei prossimi  5-10 anni. 

Non essendoci nessuna certezza di poter individuare in anticipo lo strumento che sarà in grado di sovraperformare l’etf, tanto vale destinare tutto o larga parte in strumenti a gestione passiva. 

Oramai non esistono più banche che non trattano etf, ma quanti di voi ne hanno sentito parlare dal vostro interlocutore abituale?

 

Diversificare: perché farlo, come farlo.

I mercati finanziari negli ultimi anni sono stati uno degli argomenti di maggior interesse degli organi di informazione, siano essi la tv, la carta stampata o il web.

Se alcune volte l’insistenza dei telegiornali a trattare argomenti tecnici sembra pilotata verso il sensazionalismo,  in generale dobbiamo rilevare come l’economia rivesta sempre maggior interesse per la collettività a causa delle conseguenze che questi fenomeni hanno nella vita di tutti i giorni.

La finanza nel suo insieme (banche, mercati, assicurazioni, imprese e operatori speculativi)  è in grado di orientare le scelte politiche e di conseguenza il destino di tutti noi.

Non è mio compito dire se ciò è giusto o meno, rilevo solamente che nelle scelte pratiche  sottovalutare gli aspetti economici e finanziari delle nostre decisioni non porterà di certo vantaggi.

Se ci dobbiamo fare i conti tanto meglio cominciare a capire come.

Uno dei principi basilari che devono guidare le scelte di ogni operatore economico è la diversificazione.

Diversifica un imprenditore quando decide di produrre 10 oggetti anziché uno, la fa ancora di più quando decide di servire clienti in più mercati nel mondo.

Mi voglio concentrare nelle scelte di diversificazione che riguardano i risparmiatori (anche questi come gli imprenditori sono operatori economici).

Tralasciamo per il momento gli investimenti immobiliari, una passione italiana, concentriamoci negli investimenti finanziari.

Si può diversificare per  tipologia di investimento: azioni, obbligazioni, liquidità; per valuta: Dollaro, Yen, Sterlina:

Ogni tipologia presenta numerose sotto diversificazioni, Azioni italia, Az Europa, Az America, Az Paesi Emergenti.

Obbligazioni governative e corporate, di breve e lungo termine, a tasso fisso o variabile, di banche o di aziende non finanziarie ecc.

Non sempre gli investimenti avvengono direttamente, quindi è possibile utilizzare fondi ed etf, gestioni patrimoniali o gestioni assicurative, a loro volta le gestioni possono essere attive o passive.

Non mi dilungo, servirebbe molto tempo ancora, importante invece è sapere che diversificare serve a ridurre i rischi, sempre presenti in ogni forma di investimento.

Ha senso dividere gli investimenti tra azioni e obbligazioni, ognuno sceglierà la quota più appropriata da destinare all’una e altra parte, non ha senso invece diversificare con titoli di stato di un solo paese, sia che sia l’Italia che la famigerata Argentina di qualche anno fa, infatti in caso di default il destino sarebbe lo stesso per le diverse tipologie di titoli emessi dall’emittente in difficoltà.

Non ha senso diversificare utilizzando obbligazioni di una sola banca, stesso discorso di cui sopra, ma ha poco senso diversificare tra obbligazioni bancarie emesse nello stesso stato, in quanto è molto probabile che eventuali situazioni di difficoltà coinvolgano gli altri istituti operanti nei medesimi confini.

Il fallimento Lehman è stato valutato erroneamente addirittura dagli organismi che avevano il potere di salvare la banca evitando la grave crisi finanziaria successiva.

Ha poco senso diversificare tra strumenti di risparmio gestito che operano nello stesso settore, quindi perché avere due azionari Italia oppure avere prodotti dello stesso gestore, gravi sono in questo caso le colpe delle banche che scelgono di collocare prodotti di una sola casa, limitando di fatto la possibilità del cliente di fare scelte oculate.

Diversificare ha senso dopo aver approfondito le caratteristiche dei singoli strumenti, le loro sovrapposizioni, le correlazioni (in genere fondi azionari di diverso settore e di differenti aree geografiche tendono ad avere trend similari),  le diverse strategie di approccio rispetto ai trend di mercato (solo nel caso di risparmio gestito).

L’insieme realizzato non avrà l’obiettivo di ottenere risultati elevati in valore assoluto ma di superare con minore stress le fasi di turbolenza dei mercati.